È una proposta di riforma che di tanto in tanto ritorna attuale, accendendo polemiche e suscitando opinioni contrastanti. La proposta in questione è quella di riformare l'obbligo scolastico anticipando e rendendo obbligatorio l'inizio della scuola primaria a cinque anni. Il ministro dell'Istruzione ha fatto trapelare in questi giorni, attraverso la stampa, la possibilità di discussione di questa proposta di riforma.
In alcuni paesi europei addirittura questo obbligo scolastico è anticipato a quattro anni di età. Il Canton Ticino, per esempio, mantiene la scuola dell'infanzia della durata di tre anni, anticipando di molto l'obbligo scolastico per i bambini.

L'argomento è di quello che ci interpella tutti da vicino perché è fondamentalmente legato al riconoscimento del diritto del bambino ad essere bambino e a vivere pienamente quella parte dell'infanzia detta prescolare.
Ora, è ormai accettato e dimostrato che dal punto di vista intellettivo e della capacità di apprendimento, pur con le differenti opportunità sul piano espressivo, motorio e relazionale, i bambini oggi sono preparati ad anticipare la scuola primaria perché hanno già abbondantemente appreso i primi rudimenti del calcolo e della scrittura, perché sono abili nell'uso dei giochi interattivi, perché ricevono degli stimoli ambientali molto efficaci e anche perché sono perfettamente in grado di relazionarsi con gli altri bambini e con gli adulti. Tutto questo potrebbe favorire un processo di apprendimento più rapido.
Ma è davvero questo quello che conta?
Non è piuttosto vero che anticipare l'impegno legato alla scuola significherebbe privare il bambino del tempo dedicato al gioco, alla fantasia e alla creatività tipici dell'età prescolare?

A conferma di una o dell'altra scuola di pensiero, quella favorevole e quella contraria, vi sono posizioni comunque autorevoli, una più squisitamente medico-cognitiva, che sostiene che già a cinque anni e in alcuni casi anche prima, come abbiamo detto, vi siano le condizioni favorevoli per un rapido sviluppo delle capacità intellettive, ed una più squisitamente pedagogica che tenderebbe invece a considerare il sottrarre i bambini al gioco, al tempo per creare e per pensare, che rimane comunque un tempo tipico della fanciullezza, come una sorta di violenza psicologica.
I bambini di oggi, è vero, sono precoci ma siamo sicuri che abbiano la maturità emotiva che gli consenta con naturalezza e nel rispetto dei tempi evolutivi di affrontare un cambiamento così importante come quello di passare dal gioco all'impegno e dall'ambiente familiare e ludico a quello scolastico?
L'ingresso nella scuola dell'obbligo non significherebbe, alla luce di queste considerazioni, solo acquisire nozioni ma anche e soprattutto uno sforzo di adattamento a ritmi e impegni diversi a cui potrebbero non essere preparati. Bisogna ricordare che gli anni che anticipano l'ingresso nella scuola sono fondamentali per lo sviluppo corretto dell'età evolutiva, perché servono ai bambini per imparare ad utilizzare quelle capacità relazionali e cognitive che potranno adeguatamente utilizzare con l'ingresso a scuola, ma solo dopo aver maturato un sentimento di fiducia in se stessi.
Costringerli a privarsi in anticipo di questa fase della loro vita potrebbe significare creare rischi di frammentazione della realtà degli stessi bambini in quanto bambini
Spesso sottoponiamo i nostri figli a delle vere e proprie violenze psicologiche chiedendo loro tempi scanditi da mille attività: non meravigliamoci se poi nelle aule scolastiche si finisce col dover gestire un numero sempre più crescente di bambini iperattivi e con disturbi del comportamento.

È nella scuola dell'infanzia che il bambino deve consolidare le sue capacità senso-percettive, motorie, intellettive, per acquisire di conseguenza le giuste competenze utili ad interpretare la realtà.
La questione del tempo non può, quando si tratta di diritti dei bambini, essere separata dal modo.
Il tema dell'anticipo dell'obbligo dell'età scolare a cinque anni in realtà porta in luce quella che è la vera necessità del nostro sistema istruzione di base: riformare la scuola significa innanzitutto comprendere che la scuola è chiamata non tanto e non solo ad istruire ma soprattutto ad educare, laddove per educare si intende accompagnare il soggetto nella trasformazione richiesta dalla sua crescita evolutiva. E la vera questione da aprire sarebbe piuttosto quella di rivedere semmai tutto il curricolo della scuola primaria nell'approccio, nei tempi, nei metodi perché sia in grado di accogliere il bambino di cinque anni.
Forzare il bambino a privarsi del tempo per crescere significa violare i suoi diritti naturali, il diritto innanzi tutto di vivere la propria fanciullezza senza forzarlo ad anticipare il futuro.


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