di Redazione

L'amore è un tempio sacro, in cui si dovrebbe entrare in punta di piedi con rispetto, fede, devozione, un luogo di pace ed armonia. Quando l'aurea di sacralità viene dimenticata o persa di vista, quello stesso tempio diventa un luogo senza tempo e senza spazio, ove non si ode più alcuna voce e si diventa estranei a se stessi. Esistono, purtroppo, amori "malati" che camuffando la malvagità e degenerazione sentimentale con un'emozione simile all'innamoramento, si insinuano, in modo subdolo, nei meandri del cuore, "rubando" l'essenza, succhiando l'anima dell' "amato", restituendo in cambio il vuoto in cui rimbombano voci, gesti, vibrazioni che rendono schiavi.

Queste situazioni vengono alla ribalta delle cronache solo quando oramai gli episodi di violenza si sono ampiamente consumati ed hanno prodotto lesioni fisiche e psichiche nelle malcapitate vittime che, recuperando con estrema difficoltà la propria dignità , riescono a trovare il coraggio e la forza di andare oltre quel muro di orrore e di denunciare o semplicemente raccontare la propria storia, storia fatta di violenze ed umiliazioni.

Nella maggioranza dei casi si tratta di donne, donne di qualsiasi nazionalità , qualsiasi estrazione culturale e sociale, ingannate da uomini che, nascondendosi dietro il paravento di dichiarati sentimenti d'amore nei confronti delle stesse, facendo leva sulla loro fragilità , le pongono in uno stato di vera schiavitù.

Il nostro legislatore ha introdotto nel nostro ordinamento, l'art 600 c.p., che punisce proprio quelle condotte che assumono il carattere di riduzione in schiavitù. In particolare dispone che : «1. Chiunque esercita su una persona poteri corrispondenti a quelli del diritto di proprietà ovvero chiunque riduce o mantiene una persona in uno stato di soggezione continuativa, costringendola a prestazioni lavorative o sessuali ovvero all'accattonaggio o comunque a prestazioni che ne comportino lo sfruttamento (3), è punito con la reclusione da otto a venti anni; 2. La riduzione o il mantenimento nello stato di soggezione ha luogo quando la condotta è attuata mediante violenza, minaccia, inganno, abuso di autorità o approfittamento di una situazione di inferiorità fisica o psichica o di una situazione di necessità , o mediante la promessa o la dazione di somme di denaro o di altri vantaggi a chi ha autorità sulla persona»

Costante giurisprudenza osserva che «la nozione di riduzione in schiavitù, alla base del reato di cui all'art. 600 c.p., come modificato dalla l. n. 228 del 2003, è connotata non solo e non tanto dal concetto di proprietà in sà© dell'uomo sull'uomo, ma dalla finalità di sfruttamento di tale proprietà , per il perseguimento di prestazioni lavorative forzate o inumane, di prestazioni sessuali pure non libere, di accattonaggio coatto, obblighi «di fare» imposti mediante violenza fisica o psichica. La detta finalità di sfruttamento è quella che distingue la fattispecie dell'art. 600 c.p. da ogni altra forma di inibizione della libertà personale, considerata quest'ultima come facoltà di spostamento nel tempo e nello spazio e tutelata dagli artt. 605-609-decies c.p.» (Cass., sez. fer., 6 ottobre 2004, rv. 230130).

Ne consegue, quindi, che aspetto inscindibile ed intrinseco alla condizione di assoggettamento tipica della schiavitù o di condizione a questa analoga è l'elemento della finalizzazione allo sfruttamento della vittima e non, meramente, delle sue prestazioni.

Per la realizzazione di tale fattispecie criminosa, occorre, quindi, che lo "sfruttamento" non rimanga circoscritto alla condotta costrittiva, ma occorre che ci sia una relazione funzionale tra lo sfruttamento coattivo della persona e la sua condizione di assoggettamento, tale da privare la vittima della libertà di autodeterminazione e ridurla a strumento di produzione di un utile.

«Ai fini della configurabilità del delitto di riduzione o mantenimento in schiavitù o in servitù, le condotte ivi descritte debbono comunque essere caratterizzate dal perseguimento di fini utilitaristici da conseguire, mediante la realizzazione di condizioni caratterizzate dalla compressione della libertà di autodeterminazione del soggetto passivo, cosଠche quest'ultimo risulti trasformato in semplice oggetto di sfruttamento economico o sessuale» (Cass., sez. III, 10 settembre 2004, n. 39044).

E', quindi,da escludere la configurabilità del delitto di cui all'art 600 c.p. quando nella condotta del carnefice non è ravvisabile quella finalità di sfruttamento della persona su cui si incentra il delitto in esame: non ogni privazione della libertà costituisce dunque schiavitù, ma solo quella che renda la vittima oggetto di altrui interessi o pretese, riducendola a strumento di soddisfazione di esigenze altrui; violandone la dignità .

In questi casi, si configura la fattispecie di altri delitti caratterizzati anch'essi, sia pure in maniera qualitativamente e quantitativamente diversa, da forme di privazione o limitazione della libertà personale, quali quello di lesioni gravissime ed induzione alla prostituzione.

Innanzi a queste donne ridotte in schiavitù o indotte alla prostituzione od in ogni caso violate esiste una responsabilità sociale: dovremmo avere il coraggio di fermarci nel nostro tram-tram quotidiano ed osservare le persone che ci circondano, porre attenzione anche ai piccoli gesti, essere disponibili all'ascolto e non nasconderci dietro al nostro egoismo che ci porta a voltare la faccia dall'altra parte al cospetto di dolori cosଠlaceranti. Occorre non restare immobili innanzi a tali orrori, ma supportare e dare voce a queste donne al fine di restituire il coraggio e la speranza di poter uscire fuori dal tunnel e di tornare a respirare.


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