L'assegnazione della casa coniugale costituisce un diritto personale di godimento ma non è in alcun modo assimilabile ad un diritto reale. Con la conseguenza che il bene oggetto della assegnazione stabilita con provvedimento giudiziale può ben essere venduto od oggetto di espropriazione immobiliare. Ovviamente all'acquirente (sia a quello che abbia acquistato a trattativa privata sia a quello che sia aggiudicatario del bene dopo avere concorso all'asta giudiziaria) sarà sempre opponibile il diritto dell'assegnatario ad utilizzare il bene finchè ne sussistano i presupposti previsti dalla legge (in particolare convivenza con figli minori o maggiorenni non economicamente autosufficienti). La Cassazione, con recente sentenza del 19.07.2012 n.12466 (in sez. figli- sentenze) ha precisato tale assunto evindenziando nuovamente che l'assegnazione non sia un diritto reale e che quindi essa non impedisce la vendita nè è opponibile ai terzi creditori che il bene possono sottoporre a procedura espropriativa immobiliare.
Conseguentemente, il coniuge proprietario o comproprietario del bene assegnato all'altro coniuge ben potrebbe vendere il bene o la propria quota parte (sempre che sia stata sciolta la comunione legale dei beni o si trovi in regime di separazione dei beni nel caso di comproprietà del bene con l'altro coniue) ad un valore ovviamente "affievolito", come nel caso di cessione di nuda proprietà e legato al vincolo di destinazione, meglio d'uso del bene per tot anni.
Ovviamente la vendita a terzi pone non poche problematiche a chi del bene continua a farne uso in virtù di un provvedimento di assegnazione. Innanzitutto si troverà a fare i conti e relazionarsi per spese straordinarie etc. con un terzo estraneo (in certi casi l'estraneità del terzo è più un bene che un male). In secondo luogo, si pongono una serie di aspetti pratici. Alcuni esempi. Chi pagherà l'IMU sul bene immobile? Nel caso di assegnazione di un bene di proprietà o comproprietà dell'altro coniuge o genitore è stato chiarito che il pagamento dell'IMU spetta a chi gode del bene. Ma nel caso in cui proprietario diventa un terzo quid iuris? Si applicherà per analogia, come parrebbe logico, quanto previsto nel primo caso o, assimilandosi l'assegnatario in tutto e per tutto ad un soggetto che abbia in locazione un immobile, si dovrà considerare obbligato il proprietario? Ed ancora, non avendo più interesse il coniuge che ha venduto la propria quota di proprietà a fare venire meno i presupposti della assegnazione del bene con un giudizio di modifica delle condizioni di separazione, divorzio etc..., sarà il terzo ad adire il Tribunale? E con quale procedimento? Quello di modifica delle condizioni che è per sua natuta destinato unicamente ai coniugi? Con una procedura di sfratto per "finita locazione" facendo valere di fronte al giudice i motivi che hanno determinato il venire meno di quel provvedimento di assegnazione ma con ovvi problematiche processuali, in tale ultimo caso sia di rito sia di competenza. L'anomalia sarebbe che un giudice diverso da quello della separazione (e/o divorzio) vada a modificare un provvedimento reso da quest'ultimo.
Ed ancora se è riconosciuto il diritto al coniuge di potere vendere la propria quota di proprietà o comproprietà (con il vincolo di assegnazione) può dirsi anche riconosciuto il diritto dell'uno o dell'altro coniuge proprietario di fare sciogliere la proprietà sul bene con una azine di divisione giudiziale sul bene?
Con conseguente vendita all'asta dell'intero bene nel caso in cui uno dei due proprietari non offra di acquistare la quota dell'altro.
E c'è da chiedersi se uno dei due coniugi avrebbe in tale caso il diritto di acquistare la quota dell'altro ad un prezzo più basso per la sussistenza del vincolo di assegnazione.
E se il coniuge offerente fosse proprio il soggetto che è beneficiario del diritto di assegnazione e gli fosse consentito l'acquisto al valore determinato dal CTU sulla base della minore valutazione determinata dalla presenza di un diritto di uso a tempo quale quello della assegnazione?
Non si verificherebbe in questo caso una sorta di espropriazione del bene di proprietà dell'altro che sarebbe costretto a vendere la sua quota ad un prezzo irrisorio invece di attendere anche dopo anni di potere riacquistare l'utilizzo del proprio bene?
Autorizzare tale tipo di divisione giudiziale avrebbe ben poco di giuridico arrivando a compromettere irrimediabilmente il diritto di proprietà del coniuge non beneficiario della assegnazione che sarebbe così due volte penalizzato dal giudizio di separazione e divorzio. La prima con lo spossessamento del bene, la seconda con il vanificarsi del diritto di poterne un domani, alla cessazione dei presupposti che hanno giustificato il provvedimento, goderne nuovamente.
Sono casi estremi ma iniziano a fare capolino nei nostri Tribunali domande giudiziali volte a tale fine.
Tags: