La casa familiare si trasforma in campo di battaglia dopo la separazione dei genitori: la circostanza e' nota. Ed ancora più nota che la contesa diventa più accesa allorquando quella casa non appartiene ai genitori ma ai nonni che con tanto entusiasmo l' hanno messa a disposizione per il giovane figlio/figlia, novello sposo/sposa, e con maggiore entusiasmo confermano la loro magnanimità quando nascono dei nipoti. Quando però si separa il figlio/a arrivano i problemi ...per i nipoti. L' entusiasmo scema e cede il posto alla richiesta di reintegrazione nel possesso. La Cassazione ha da tempo confermato il suo consolidato principio. Quella casa rimane ai nipoti perché è stata messa a suo tempo a disposizione proprio affinché in quell' immobile si potesse svolgere la vita familiare, loro e dei genitori, e potrà esserne chiesta la restituzione solo quando ne cesserà la naturale funzione: ovvero in casi di separazione al raggiungimento della indipendenza economica dei figli. La restituzione e' ammessa prima del verificarsi di tale condizione esclusivamente se è indispensabile per i proprietari...ovvero in buona sostanza se vi debbano abitare perché non possiedono altri immobili. La separazione immobilizza i beni. Questo i nonni lo sanno bene e non a caso non sono rari i casi in cui i medesimi si tutelano anche in sede di separazione dei figli intervenendo negli accordi stessi di separazione. Stipulando, per esempio, con il genitore collocatario della prole dei contratti di comodato con la previsione del termine finale di durata. In tale caso il comodato sottoposto a termine determina al suo spirare il diritto alla restituzione, sottraendo potenzialmente l' immobile alla sua assegnazione ulteriore da parte del giudice della separazione (in sede di modifica delle sue condizioni) o del divorzio. Occorrera' tenere presente per la validità di tale contratto di comodato dell' obbligo di registrazione dello stesso, pena la sua nullità, come previsto dalla legge. Un caso molto particolare ha colpito la mia attenzione... quello di due nonni che per venti anni hanno concesso la loro abitazione a figlio e nuora, scambiando con i medesimi un immobile di loro proprietà. Uno scambio in piena regola di case familiari con il solo limite del persistere dei reciproci atti di proprietà. In quella casa dei nonni e' nata e cresciuta la prole. Il figlio un bel giorno si separa e i nonni decidono di scendere in campo intervenendo nello stesso ricorso per separazione e sottocrivendo una clausola in cui concedono alla nuora la possibilità di rimanere nell' immobile di loro proprietà' solo alla condizione che, al compimento dei diciotto anni di ambedue i nipoti, mamma e figli avrebbero lasciato l' immobile per trasferirsi nell' altro quello di proprieta' di figlio e nuora. L' accordo viene omologato dal Tribunale. Passano gli anni e prima uno poi il piu piccolo dei nipoti compiono i diciotto anni. Come regalo all' ultimo neodiciottenne il padre regala un ricorso per divorzio nel quale chiede la conferma delle condizioni di separazione e quindi della clausola che prevede il rilascio della casa al compimento dei diciotto anni. I figli non vogliono assolutamente lasciare la casa in cui sono cresciuti, il piccolo manifesterà anche dei veri e propri disagi psicologici somatizzando gli stessi. Nulla da fare il padre ed i nonni li vogliono mandare via da quella casa....gli accordi vanno rispettati "mamma ha firmato un accordo...avete diciotto anni quindi via di qui". Ma v'è' da chiedersi e' giusto che la prole subisca la scelta fatta anni addietro dai genitori subendone le conseguenze? Loro non hanno partecipato a quella scelta ma oggi si trovano a subirla. Se la madre non avesse accettato l' apposizione di quel termine finale di godimento il Tribunale avrebbe tranquillamente, tanto in sede di separazione tanto in sede di divorzio, assegnato l' immobile in loro favore. Questo perché ab inizio dato in comodato gratuito per le esigenze della famiglia. Quella clausola ora sembra stravolgere equilibrio e diritti dei figli. I nonni non hanno affatto bisogno di quel bene e tutto si gioca su questioni di principio, avendo i due immobili pari valore, delle quali i figli farebbero volentieri a meno. Ma gli adulti no!

E' giusto mi chiedo nuovamente che i figli subiscano le scelte fatte nelle separazione dai genitori od e' invece giusto che i medesimi possano fare valere in via autonoma i loro diritti? E se quel termine finale di durata fosse stato vincolato non alla maggiore età' dei figli ma ad altra condizione verificatasi in minore età dei medesimi? La tutela dei diritti dei minori sarebbe stata predominate, ma nemmeno questo può essere con certezza affermato, con un obbligo del giudice di intervenire in loro favore consentendo la permanenza nell' habitat familiare. La amara constatazione e' che gli interessi economici ancora una volta travolgono altri tipi di interessi che dovrebbero invero predominare, se non altro per buon senso, e che soggetti passivi-vittime del processo di separazione siano sempre e solo loro: i figli! Facciamo tutti un passo indietro allora altrimenti a questi figli, i nostri figli, non lasceremo via d' uscita ed ottimismo nel futuro che già di questi tempi è difficile trasmettere loro.


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