Nell'ambito di un processo di separazione, il Tribunale di Pisa addebita al marito la separazione e lo condanna a corrispondere alla moglie l'assegno di mantenimento.
Il marito propone appello e la Corte di Appello di Firenze riforma la sentenza di primo grado, pronunciando la separazione personale dei coniugi, con addebito alla moglie e con conseguente esclusione dell'assegno di mantenimento a suo favore. In particolare i giudici ritengono che la donna abbia assunto comportamenti lesivi dei doveri coniugali che hanno portato all'intollerabilità della convivenza: dalla CTU è risultato, infatti, che la donna fosse affetta da una nevrosi caratteriale di "shopping compulsivo", caratterizzato da un impulso irrefrenabile ed immediato ad acquistare e da una tensione crescente, alleviata soltanto acquistando appunto beni mobili. Il CTU ha verificato l'utilizzo da parte della donna di denaro sottratto ai familiari ed a terzi, per soddisfare la propria esigenza di effettuare acquisti sempre più frequenti e dispendiosi di beni mobili, quali vestiti, borse, gioielli, spendendo somme di volta in volta più ingenti.
La donna ricorre in Cassazione, sostenendo che la sentenza impugnata, si fonderebbe su una lettura fortemente riduttiva della consulenza tecnica di ufficio.
Gli Ermellini rigettano il ricorso, osservando che la donna era perfettamente conscia della sua patologia e che lo stesso CTU ha escluso un'incapacità di intendere e di volere, sussistendo soltanto un impulso compulsivo all'acquisto, sicuro disturbo della personalità che tuttavia, anche in base all'andamento pregresso, si poteva ritenere "ciclico".
I supremi giudici affermano la piena imputabilità della ricorrente ed evidenziano che i comportamenti riscontrati, pacificamenti sussistenti (furti di denaro ai familiari ed ai terzi, acquisti particolarmente frequenti e fuori misura di beni mobili), configurano violazione dei doveri matrimoniali. ai sensi dell'art. 143 c.c..
Ritengono, altresì, che il nesso di causalità con l'intollerabilità della convivenza, non è escluso, come sostiene la ricorrente, dalla distanza tra i comportamenti tenuti e la separazione. (Così statuito Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 23 settembre – 18 novembre 2013, n. 25843)
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