Sono davanti a me, giorno dopo giorno e mi parlano della loro storia, della loro attuale crisi e della loro scelta di separazione, sempre per lo più irrevocabile quando si trovano seduti al di la' della mia scrivania.
Al di la' della partecipazione piu' o meno viva al loro dolore mi concentro sul da farsi sugli aspetti processuali in particolare ed inizio con le domande di routine.
Che lavoro svolge lei? Ed il suo coniuge? Quali i redditi derivanti (accertati, dichiarati, occulti o meno)? La casa e' di proprietà o meno? Avete mutui ipotecari
in corso e con quale rateo? Altri prestiti personali contratti insieme o disgiuntamente? Ed i figli? Attività scolastiche ed extra svolte, organizzazione economica e non solo di vita e bla bla ????
Mentre chiedo tutto questo ed appunto i dati salienti un pensiero breve come un lampo a volte mi passa per la mente: le fotografie, tutte le fotografie di questi anni di vita insieme, le fotografie che solitamente tutti noi teniamo in belle cornici di plexiglas, come piace a me, o d' argento, come ad altri, sparse in giro per la casa, per le scrivanie del posto di lavoro ed i disegni, tutti quei disegni che i bambini ci lasciano in giro per casa che fine fanno?
Le guarderanno ancora?
Questo vorrei domandare ma mi trattengo.
In questi venti anni di professione non mi è mai capitato o forse un paio di volte ( risolte con un " duplichiamole e chi si è' visto si e' visto") di dovere affrontare la questione in sede di inventario e di divisione più o meno bonaria dei beni mobili comuni.
Mi è', invece, capitato di riceverle in visione dai clienti per motivi processuali. Le foto della vacanza insieme per dimostrare il tenore di vita, le foto del ragazzino in barca a vela od in tenuta ginnica per dimostrare le spese extra cui sono abituati i figli. Ed ogni volta in questo caso la sensazione e' stata sgradevole.
Pur, se autorizzata, mi sono sentita una intrusa, una ladra entrata di soppiatto nelle "vite degli altri".
Ed ancora più ho sentito come vigliaco il gesto di depositarle in giudizio quando sono stata costretta a farlo e sollevata quando al ritiro del fascicolo di parte, a fine processo, le ho restituite al proprietario.
Quelle foto che spesso guardiamo per ricordare e rivivere momenti di felicità - la felicità e' un attimo ripeteva spesso un mio amico dei venti anni (ed allora non capivo del perché la felicità dovesse durare solo un attimo e non tutto il tempo)- quelle foto, che in caso di incendio della nostra casa sarebbero tra le prime tre cose che salveremmo (e per fortuna oggi abbiamo le nuvolette telematiche che le conservano in ogni dove), perché all' improvviso diventano così insignificanti?
La famiglia disgregata, tutta virtualmente seduta dietro la mia scrivania e rappresentata in carne ed ossa ora da un uomo ora da una donna, più o meno disperati, più o meno soli, ma sempre e comunque determinati a separarsi, in quelle foto ora
e' come un vampiro (che sulle foto non si imprime) ed immagino quelle cornici tutte vuote.
Ma perché? E' giusto cancellare tutto, e' giusto spazzare via, togliere di mezzo per ingannare il vuoto od il dolore? Non lo e'! Non e' proprio come strappare la foto di un fidanzato che non ci piace più perché quelle foto sono anche la vita di quella famiglia, di quei figli.
Figli che d' ora in poi troveranno in una casa, quella della madre, le loro foto con lei e nell' altra, quella del padre, le foto con lui.
Quelle insieme spazzate via, salvo il caso di famiglia molto lungimirante e saggia.
Meglio sarebbe stato non stamparle mai!


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