A cura di Laura Genovese.
E' capitato ad una donna, che, pur di salvare il proprio matrimonio, ha sopportato per lunghissimo tempo i comportamenti disdicevoli del marito: tradimenti, sottrazioni di denaro, giochi d'azzardo.
Eppure la pazienza ha un limite, e la donna chiede la separazione con addebito al marito.
Fondamentale sarà la valutazione delle condotte tenute dall'uomo, ossia le «ripetute relazioni extramatrimoniali» e la pessima 'abitudine' di sperperare il «denaro familiare» nelle 'case da gioco'.
L'uomo però si difende, sostenendo che non è possibile che quei 'vizi' abbiano provocato una «situazione di intollerabilità della convivenza» tale da condurre alla «separazione».
Spiega infatti che «da molti anni aveva relazioni extramatrimoniali e frequentava assiduamente 'case da gioco', spendendo molto denaro, che, evidentemente, sottraeva al menage familiare», eppure la moglie aveva manifestato «una sorta di 'assuefazione' a tale comportamento». Proprio il comportamento di "rassegnazione" della donna si sarebbe dovuta valutare secondo l'uomo come «espressione di una preesistente crisi nei rapporti coniugali".
Ma i giudici di legittimità non ci stanno: secondo gli Ermellini infatti non può intendersi diversamente il comportamento della donna che ha semplicemente «sperato, per un lungo periodo, in un mutamento del comportamento del marito», ma, alla fine, si è dovuta 'arrendere' all'evidenza dei fatti.
Insomma, le ripetute «violazioni degli obblighi coniugali», da parte del marito hanno 'sfiancato' la donna a tal punto da renderle intollerabile la «convivenza».
Ne deriva che la decisione di separarsi dal marito non può che essere conseguenze di comportamenti irrispettosi protratti nel corso degli anni ; più che giustificato duque l'addebito all'uomo.
Così, Corte di Cassazione sentenza n. 5395 dep. Il 7 marzo 2014
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