E' questa una delle frasi pronunciate da uno dei protagonisti del film di frontiera, del regista Emanuele Crialese, "Terraferma" in cui viene documentata la tragedia che si assiste, troppo spesso, nell'isola di Lampedusa. Un film dalla forza visiva dirompente, in cui immagini, silenzi e sguardi raccontano una storia che purtroppo non è di pura invenzione, ma è una realtà attualmente straziante.

 

Il film narra, tra l'altro, di un vecchio pescatore, un uomo all'antica, che vive secondo gli insegnamenti del mare e si ritrova a salvare uomini e donne clandestini in cerca di una vita migliore. I pescatori obbediscono alla legge del mare piuttosto che a quella della terra che vieta di avvicinarsi ai clandestini. Il vecchio pescatore, che ha perso un figlio in mare, decide di non seguire la legge della "Terraferma", ma di seguire, appunto, il codice del mare che impone di non lasciare un uomo in balia delle onde. Una legge non scritta della pietà. Anche Sofocle nell' Antigone racconta che quest' ultimo si appella alle leggi non scritte, eterne e incrollabili degli dèi per rivendicare il dovere di sepoltura nei confronti del fratello Polinice, per il quale il re Creonte ha vietato di celebrare i riti funebri.

Le tragedie greche sono arte immortale, ma questa in particolare racconta di noi, dei cittadini che devono rispettare le leggi "democratiche", e in particolare degli abitanti di isole come Lampedusa.
La tragedia nella tragedia: il contrasto tra due "giustizie": l'una immodificabile basata sul senso di umanità e l'altra creata dall'uomo e paradossalmente meno umana. Drammatico dilemma in cui può capitare di trovarsi un marinaio nel canale di Sicilia, testimone più o meno passivo (più o meno costretto a esserlo) di una tragedia vera. Sembra una rilettura in chiave contemporanea dell'Antigone, e si sta guardando Terraferma o peggio la realtà.
Ci troviamo innanzi ad una umanità che fa fatica a comprendersi: la paura dell'altro,la paura della scoperta delle radici profonde che legano tutti gli uomini tra di loro. La paura di riconoscere la terra come casa universale.

La paura dell'accogliersi l'uno l'altro, la paura della condivisione di una tragedia che può colpire qualunque popolazione. La stessa tragedia che dopo la fine del conflitto mondiale, spinse molti nostri antenati, a raggiungere il nuovo mondo, l'America.

Come si può rimanere indifferenti innanzi a tutto ciò?

Come si può pensare ad un reato di clandestinità?

Che reato hanno commesso mai queste persone??La loro disperata ricerca di una speranza di vita..si trasforma in una inconsapevole certezza di morte.

Il mare, composto da acqua, simbolo della nascita..si trasforma in un grande cimitero.

Sono giorni, mesi, anni che osserviamo in modo passivo a queste immagini così forti...per poi dimenticarcene..nel momento in cui con il telecomando spegniamo la tv.

Ma come poter dimenticare le oltre 300 bare? Come poter rimanere indifferenti? Come non pensare a quella che donna che partoriva, che dava vita ....o forse sarebbe meglio dava morte al suo bimbo con il quale è rimasta attaccata al cordone ombelicale?

Non c'è più un minuto da perdere. Ogni minuto è una vita che si spezza. Ogni minuto l'Italia e l' Europa si rendono carnefici di tante vittime inconsapevoli.

Occorre organizzare un corridoio umanitario di transito dalla Sicilia all' Europa o meglio tra quelle terre distrutte all' Europa. Evitare che criminali possano organizzare questi "viaggi", speculando sulla disgrazia altrui, speculando su persone che non hanno altra scelta per scampare a guerre, dittature e fame.

Occorre una normativa che restituisca dignità morale e giuridica ai rifugiati e non incriminare coloro che, spinti da un mero spirito di umanità, salvano la vita ad altri essere umani.

"Tutto quel dolore, quello scompiglio. C'è una parte dell'isola dove il mondo non arriva. Basta fare pochi passi e sei fuori dalla zona degli sbarchi e dei telegiornali.

Vito guarda il mare. Sua madre un giorno gli ha detto devi trovare un luogo dentro di te, intorno a te. Un luogo che ti corrisponda. Che ti somigli almeno in parte."(Tratto dal libro "Mare al mattino" di Margaret Mazzantini).






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