Ben siamo a conoscenza di quale gravissimo danno subisce un nucleo familiare invischiato per anni nelle dinamiche processuali. Il conflitto si alimenta di udienza in udienza, di atto in atto, di lettera in lettera.
La ragionevole durata di una causa (giudizio di separazione e/o divorzio compreso) è fissato in una media di tre anni dal deposito del ricorso.
Ma non è raro trovarsi davanti giudizi durati sette, otto e finanche nove anni.
La irragionevole durata del processo causata non da attività delle parti (es. richiesta istruttoria molto complessa, continue istanze di modifica delle condizioni in corso di causa, continui rinvii della udienze ad iniziativa delle parti, sospensione del giudizio per l'invio in mediazione dei coniugi) dà diritto alle parti a richiedere un risarcimento del danno allo stato (c.d. equa riparazione introdotta dalla Legge Pinto.
Il risarcimento del danno è in re ipsa senza necessità di dovere dimostrare le conseguenze della durata del processo per cause durate oltre sei anni (grado di appello e legittimità compreso). Unica prova è dimostrare, attraverso l'allegazione dei verbali di causa, che la durata del processo oltre misura sia stata causata da motivi non imputabili alle parti.
Ovvero rinvii d'ufficio, congelamento del ruolo per cambio di giudice istruttore, rinvii tra una udienza e l'altra superiore alla media (oltre tre mesi), rinvii per la precisazione delle conclusioni molto lunghi, tempi irragionevoli per la emissione di sentenza definitiva o provvedimenti in corso di causa.
Per ogni anno di ritardo rispetto alla durata media di un giudizio (tre anni) spetta a ciascuna parte un risarcimento di circa 500-1000 euro.
Il procedimento si instaura davanti alla Corte di Appello (diversa da quella del comprensorio dove è stato pronunziato il giudizio. Per esempio per giudizi svoltosi in Campania occorrerà rivolgersi alla Corte di Appello di Roma. Per giudizi svolti in Puglia davanti alla Corte di Appello di Lecce) entro il termine di sei mesi dal deposito della sentenza.
Dopo il deposito del ricorso viene emesso da giudice monocratico della Corte di Appello un decreto contenente anche la ingiunzione di pagamento al Ministero che andra' poi notificato entro trenta giorni per eventuale opposizione.
Dopodiche' la strada non e' per nulla in discesa.....
I problemi, sino alla modifica della Legge Pinto 89/2001 con le innovazioni introdotte dalla Legge 7.08.2012 n.134 (che dovrebbe, ma le speranze sono molto flebili, arginarli secondo il suo dettato normativo), sono stati sostanzialmente due: il lungo tempo tra il deposito del ricorso e la udienza di comparizione ed i lunghi tempi per ottenere dal Ministero di Grazia e Giustizia il pagamento del risarcimento cosi' come quantificato dalla Corte di Appello.
Tempi esorbitanti perche' l' attesa puo superare oggi anche i quattro anni, salvo non si ricorra al benedetto giudizio di ottemperanza.
Il Ministero, sordo e soprattutto muto, alle richieste bonarie di pagamento (raccomandate e pec inevase o liquidate con laconiche risposte tali da insultare la intelligenza umana), alla notifica della sentenza, alla notifica del precetto e financo al un pignoramento mobiliare, sempre infruttuoso nei suoi confronti cosa fa?
Trincerandosi dietro la banale scusa che la delega per il pagamento e' rimessa alla Corte di Appello e, lavandosene sostanzialmente le mani, si da' una mossa solo dopo la notifica del ricorso introduttivo del c.d. giudizio di ottemperanza.
Allora si' che anche prima della udienza l' assegno arriva diritto diritto agli studi legali
del creditore. E chi risarcisce i malcapitati di questo ulteriore danno che per molti puo' diventare un vero e proprio danno anche non patrimoniale?
Non e' dato sapere.....perche quando c' e' da pagare non si sentono ragioni ma quando si deve pagare il cittadino aspetta!
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